Nella serie “Fisheye” Monica De Mattei gioca – sia nel titolo, che nell’elaborazione stessa dei soggetti rappresentati – con il riferimento alla caratteristica resa fotografica di un particolare obiettivo grandangolare, il fish-eye per l’appunto, che crea un’immagine circolare che abbraccia un angolo di campo di circa 180°. La parola inglese significa letteralmente “occhio di pesce” e deriva dalla chiara somiglianza tra la lente frontale tondeggiante di un obiettivo fish-eye e l’occhio vitreo tipico dei pesci.
In questa collezione, l’artista abbandona la totalità del campo immaginativo e visivo in favore di una visione macroscopica e ravvicinata del soggetto, che invita l’osservatore ad un approccio più intimo e riflessivo nei confronti del mondo marino e delle sue enigmatiche creature silenziose. Dalla pluralità dei pesci dell’ “Acquario infinito” alle visioni concentriche delle “Maternità”, fluttuando nelle acque astratte dell’“Oceano 4.0”, per poi balzar fuori dalle vorticose onde cromatiche nelle creazioni de “Il pesce che non c’è” e ritrovarsi come “Pesci fuor d’acqua”, che vagano spaesati in cerca del proprio mare.
Monica, seguendo le fila di un ideale ragionamento deduttivo, passa da una visione creativa generale e completa a una man mano più particolare, giungendo nella serie “Fisheye” a focalizzarsi su un dettaglio specifico del pesce: la testa e il suo profondo occhio nero. Nelle tele circolari, le grandi teste di pesce – impreziosite da una barocca trama decorativa di volute e ricami dorati – sembrano scrutarci, scavare a fondo nella nostra anima, in un ribaltamento della funzione tipica del quadro. E allora, non siamo più sicuri di osservare o di essere osservati. Ma forse, l’invito dell’artista è proprio quello di lasciarci andare, di provare ad immergerci nelle profondità dell’universo marino per ritrovare la nostra natura più intima e nascosta, sepolta al sicuro tra i fondali del nostro misterioso mare interiore.
Raffaella Ferraro
Storico dell’Arte