Pesce fuor d’acqua, testo critico di Martina Degl’Innocenti


15 marzo 2019

Se, nell’arte di Monica De Mattei, la prima peculiarità che emerge è il suo forte uso del colore, a uno sguardo più attento ci si accorge che predominante è la linea. I suoi pesci hanno origine sempre da una sagoma dal tratto lineare molto spesso curvo, la cui delineazione rivela una sicurezza che deriva probabilmente dalla formazione di Monica come architetto. “L’universo è fatto di curve”, scrisse Oscar Niemeyer esprimendo il principio che governa il suo linguaggio architettonico, e di certo anche il mondo che osserva e riproduce Monica è dominato dalla libertà, sensualità e sinuosità delle forme. La collezione dei “Pesci fuor d’acqua” è forse l’esempio più lampante di questa caratteristica: la linea che fa da perimetro alle sagome diventa talmente profonda da ritagliare la superficie e isolare i pesci portandoli a “saltar fuori” dalla loro “acqua”. Un modo per farli risaltare, per farli emergere, che allo stesso tempo, però, come il titolo stesso della collezione suggerisce, può farli sentire solitari, fuori luogo, in un “non luogo”. Ed ecco emergere un altro aspetto tipico del linguaggio di Monica, quello dei contrasti che, anche sulla superficie, affiorano tramite il sottile gioco di accostamento di colori. In questa collezione appare, inoltre, una nuova sperimentazione tecnica, quella dell’utilizzo dei rulli: flussi e flutti ondeggiano in quel “mare” che non è più fuori, ma “dentro” i pesci.